Arrivo agli scavi di Ercolano dopo l’incontro emozionante con Paestum. Ho ancora negli occhi i suoi templi maestosi nella luce che sfuma nel tramonto e i dipinti delle tombe che nel suo museo mi avevano commosso con scene di appassionato amore per la vita.
“Ercolano non potrà certo darmi emozioni maggiori” penso, mentre mi avvicino al cancello che immette nell’area archeologica che comincio a intravvedere sotto di me. Mi sembra di guardare un mondo scoperchiato, con le case che conservano i muri che delimitano le strade e separano ancora le stanze. Non tracciati sul suolo, ma vere stanze, solo senza tetto.
Un colonnato, quasi perfettamente integro, delimita uno spazio che finisce inghiottito dalla collina che sostiene sopra di sé la moderna Ercolano, le cui case fanno corona intorno a ciò che che resta della città “fondata da Ercole”, come racconta la leggenda.
Per visitare gli scavi di Ercolano devo “scendere”. La furia della disastrosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C. la seppellì sotto tonnellate di fango, acqua bollente, roccia e pomici liquefatte. Dove l’élite romana amava godere le bellezze della costa campana, fino a quindici metri di materiale magmatico cambiarono per sempre quel tratto di costa. Altre eruzioni innalzarono a 25 metri il suolo sotto cui Ercolano rimase sepolta e dimenticata per secoli.
Molti sono i portici, ben conservati, che fronteggiano le case più importanti e gli edifici pubblici. Altre arcate, aperte sui magazzini del porto, si aprono sui resti dei corpi di chi aveva cercato rifugio dalla pioggia di fango bollente, rimanendo carbonizzato.
Non so quale sia il sentimento che provo guardando quelle spoglie. Pietà, orrore per la loro fine? So che li guardo forse un po’ troppo a lungo perché sento la guida che lamenta la “curiosità morbosa dei turisti”. Ma la mia è tutt’altro che curiosità.
Guardando quelle ossa provo, inspiegabilmente, il sentimento che si prova per un morto recente. Pietà per la loro angoscia, il loro tentativo di mettersi in salvo dalla pioggia di lapilli che invece li seppellì inesorabilmente.
Forse è la particolarità degli scavi di Ercolano a suscitarmi questo sentimento. Mi sembra di camminare per una città abbandonata da poco, che conserva resti di una vita ancora pulsante.
Mi colpisce in una piazza la statua di Marco Nonio Balbo, personaggio influente e benefattore della città, che da ciò che resta del suo monumento funebre sembra richiamare ancora intorno a sé le riunioni dei cittadini arringandoli, mentre su un piedistallo di fronte una coppia di fanciullini nudi addolcisce con la loro presenza quel gesto che può sembrare imperioso.
Continuo a percepire la sensazione di vivere la vita della città, quasi in una “contemporaneità” lunga diversi secoli. Entro nelle case dove il colore dei muri viene interrotto da piccoli affreschi, quasi quadri con nature morte, come nella Casa dei Cervi.
Dieci pitture con amorini, nature morte con frutti e vasi vetro che mostrano ancora incredibili trasparenze e paesaggi marini. Altri piccoli affreschi sono stati staccati nel tempo e portati al Museo Archeologico di Napoli e al Louvre.
Sono bellissimi. Voglio vedere tutti quelli che sono rimasti su queste pareti e mentre mi sposto da una stanza all’altra cammino su “tappeti” di tessere di marmo.
Percorro le strade lastricate di quella che fu una città ricca, con le sue case lussuose dai patii ornati di vasche e fontane, dai pavimenti impreziositi da piccole pietre che riflettono la luce.
In una grande casa si è conservata una porta maestosa, carbonizzata con tutta l’intelaiatura e i grandi battenti, mentre poco più oltre dal soffitto di un impluvio si sporgono piccole riproduzione di animali.
Altre abitazioni offrono ambienti magnificamente decorati con figure di animali o riproduzioni di scorci architettonici, secondo il gusto del Secondo Stile Pompeiano. In una intravedo l’angolo riservato ai culto dei Lari, i numi tutelari della famiglia, mentre un’altra conserva la parte superiore, destinata agli schiavi.
Lungo le strade le botteghe mostrano ancora anfore e utensili e agli angoli delle vie numerose taverne espongono i recipienti incassati nei banconi in muratura che contenevano il cibo da consumare all’aperto, per strada.
Immagini di una vita quotidiana che ha lasciato testimonianze tanto numerose e coinvolgenti che provo la sensazione che non si sia mai interrotta e di stare vivendo una delle tante giornate di quella opulenta città baciata dal sole e dalla bellezza del golfo di Napoli.
Per visitare gli scavi di Ercolano guarda il sito https://ercolano.beniculturali.it/
Per arrivare a Ercolano partendo da Napoli v. orari ferrovia Circumvesuviana
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